Si è conclusa la prima settimana della Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite, iniziata lo scorso 30 Novembre e che proseguirà fino al 12 Dicembre a Dubai. Tra discussioni sul ruolo del Presidente Al Jaber e la necessità di agire con urgenza per contrastare la crisi climatica, questa fase negoziale ha portato ad alcuni significativi traguardi.
COP28 si è distinta fin dal suo inizio per la volontà e la capacità di mobilitare capitali: nei soli primi 4 giorni sono stati stanziati 57 miliardi a supporto dell’azione climatica. Mentre durante il primo giorno, è stato raggiunto un accordo storico che ha visto l’operativizzazione del fondo Loss & Damage. Un traguardo per la giustizia climatica e per i Paesi più vulnerabili alle conseguenze del cambiamento climatico. Dall’impulso degli Emirati Arabi attualmente il fondo raccoglie 720 milioni di dollari. Anche se le stime fatte dai Paesi più colpiti sono di gran lunga più sostanziose arrivando a 400 miliardi all’anno per rispondere agli eventi estremi ed adattarsi ai cambiamenti climatici.
Cibo ed agricoltura
Tra le decisioni adottate, spicca la firma della Dichiarazione su Sustainable Agriculture, Resilient Food Systems and Climate Action, a cui hanno aderito 134 Paesi, che conferma il crescente contributo del settore agri food in termini di sostenibilità. Argomento toccato anche nell’intervento in plenaria della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha colto l’occasione per portare il dibattito – e in particolare la sua discussa posizione – sulla carne sintetica, oltre i confini nazionali.
Un approccio olistico: il riconoscimento del nesso tra clima e salute
Per la prima volta nella storia delle COP viene inserita la salute all’interno dell’agenda climatica. Grazie al lavoro svolto negli anni da parte della comunità scientifica ed al supporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) si è giunti alla Dichiarazione degli Emirati Arabi Uniti COP28 su Clima e Salute, approvata da 123 Paesi, che collettivamente con ONG, associazioni filantropiche, banche di sviluppo ed istituti multilaterali hanno destinato 1 miliardo di dollari per affrontare le crescenti esigenze della crisi climatica-sanitaria. I cambiamenti climatici hanno già aggravato le condizioni di salute di milioni di persone in tutto il mondo, a causa dell’aumento delle temperature e delle ondate di calore, di eventi estremi come siccità ed inondazioni che hanno generato impatti sulle persone che vivono in modo diretto le conseguenze dirette del cambiamento climatico, vittime di ondate di calore, mancanza di accesso al cibo, scarsità di acqua Il riconoscimento che la crisi climatica è anche una crisi sanitaria getta le basi per rafforzare il sostegno politico attorno alle priorità condivise sul nesso clima-salute, anche nelle future COP e nell’Assemblea mondiale della sanità.
La crisi climatica non è “gender neutral”
Durante il quinto giorno di COP28, dedicato alle interconnessioni tra genere e clima, si è sottolineato come i cambiamenti climatici amplifichino le disuguaglianze di genere esistenti, rappresentando una minaccia in termini di accesso a mezzi di sussistenza, salute e sicurezza. 53 territori su 191 a livello globale, che ospitano 1,5 miliardi di donne e ragazze, ovvero il 37,2% della popolazione femminile mondiale, affrontano un’esposizione elevata o molto elevata alla siccità. Le proiezioni suggeriscono che l’esposizione a queste circostanze potrebbe colpire un ulteriore 9-17% della popolazione mondiale entro il 2030.
Sima Sami Bahous, Direttrice Esecutiva di UN Women, ha sottolineato altresì l’importanza di colmare il gap presente nella raccolta ed analisi dati sulle disuguaglianze di genere a livello mondiali, senza le quali non è possibile prendere decisioni e affrontare le intersezionalità: le statistiche sono un punto chiave per permettere la programmazione di azioni strategiche ed inclusive.
Razan Al Mubarak, UN Climate Change High-Level Champion, ha annunciato il lancio del COP28 Gender-Responsive Just Transitions & Climate Action Partnership, per integrare la dimensione di genere nell’attuazione dell’Accordo di Parigi. Il partenariato, è stato già sostenuto da oltre 60 Paesi e mira a supportare le pari opportunità garantendo l’accesso a un lavoro dignitoso e risorse finanziarie a donne e ragazze nei Paesi in via di sviluppo.
Decarbonizzazione del sistema energetico mondiale
Dopo lo scandalo emerso sulle influenze di Al Jaber come Presidente di una delle più grandi aziende petrolifere verso i governi nazionali, si è condivisa pubblicamente la volontà che le aziende abbiano un ruolo proattivo nella transizione energetica. Ammettendo la difficoltà della discussione e dell’argomento, Al Jaber ha sottolineato che le multinazionali non hanno fatto abbastanza e che possono fare di più. Possono investire e segnare una nuova strada: tutti i settori devono accelerare la decarbonizzazione – trasporti, acciaio, cemento – innovando e modernizzando per effettuare la transizione energetica.
Sul tema energia è stato firmato da 119 Paesi il Global Renewables and Energy Efficiency Pledge che mira a triplicare la capacità globale per le energie rinnovabili e di raddoppiare il tasso dell’efficienza energetica, su base annuale, fino al 2030.
Gli Emirati Arabi hanno inoltre dichiarato l’avvio del Global Decarbonization Accelerator (GDA), che si focalizzi su tre pilastri: sistemi energetici del futuro come rinnovabili e idrogeno; il settore dei combustibili fossili e le industrie ad alta intensità di emissioni; e metano. All’interno di questa azione si racchiudono:
- Global Industrial Accelerator (GIA): l’acceleratore della transizione industriale si concentrerà sulla decarbonizzazione dei principali settori ad alte emissioni: cemento, alluminio, acciaio, petrolio e gas, energia e aviazione/marittimo.
- Nell’ambito del pilastro petrolio e gas, è stata sottoscritta la Oil & Gas Decarbonization Charter, le 52 compagnie petrolifere e del gas rappresentano il 40% della produzione mondiale di petrolio. L’impegno netto zero riguarda le emissioni di ambito 1 e 2. Il coinvolgimento delle multinazionali di petrolio, tuttavia, se da un lato il coinvolgimento di queste aziende potrebbe accelerare la transizione energetica, dall’altro restano alti i timori relativi agli effettivi impatti ambientali prodotti da tale settore.
- Zero Methane Pledge, per quanto riguarda il metano, l’accordo vede le 52 aziende impegnate a fissare obiettivi provvisori che ridurrebbero le emissioni di metano allo 0,2% della produzione di petrolio e gas naturale entro il 2030.
Nell’ambito dell’energia è poi emerso un accordo sul nucleare in cui 22 Paesi hanno aderito alla Declaration to Triple Nuclear Energy, un accordo particolarmente discusso, che li impegna a triplicare la capacità di produzione di energia nucleare globale entro il 2050. Tra questi Francia, Stati Uniti e Regno Unito.
Phase-out dai combustibili fossili: è possibile?
Dopo le dichiarazioni di Al Jaber rilasciate durante un’intervista al The Guardian il 22 Novembre, l’opinione pubblica ha messo in dubbio la sua capacità di guidare la presidenza dei negoziati e la sua validazione verso la comunità scientifica: “non esiste evidenza scientifica che per mantenere il riscaldamento globale sotto 1.5 gradi si debbano eliminare le fonti fossili”.
Una frase indubbiamente grave ed allarmante, in risposta, durante la conferenza stampa del 4 Dicembre ha ribadito la volontà di basare le sue azioni sulla scienza con l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale sotto il limite di 1.5 gradi, chiamato più volte la stella polare di questi negoziati.
Nonostante il rumore soprattutto a livello mediatico le negoziazioni sono andate avanti a ritmo serrato, la parte politica ha infatti lasciato spazio al processo negoziale, che vede la scrittura e la definizione dal punto di vista tecnico degli impegni dichiarati dai Paesi. Il nodo cruciale verte intorno al Global Stocktake (GST) di cui sono uscite nei giorni scorsi le prime due bozze all’interno delle quali si vedono le opzioni legate ai combustibili fossili:
Art.35
Opzione 1, “un’eliminazione graduale ordinata e giusta dei combustibili fossili”. In riferimento al phase-out si parla, di eliminazione tout court e non di riduzione;
Opzione 2, mantiene la parola “eliminazione”, ma è non viene definito un range temporale: “accelerare gli sforzi per l’eliminazione graduale dei combustibili fossili unabated e ridurre rapidamente il loro uso per raggiungere emissioni nette zero di CO2 nei sistemi energetici entro o intorno a metà secolo”.
Opzione 3: vuota, una delle prospettive peggiori rispetto al tema dell’uscita dai combustibili fossili necessaria per contrastare il cambiamento climatico.
Trasversalmente nella bozza si sottolineano gli aspetti legati alla necessità di compiere una just transition capace di rispondere all’emergenza climatica nel rispetto dei diritti umani, delle popolazioni indigene, delle persone, dell’uguaglianza e del lavoro dignitoso.
I negoziati continuano giorno e notte, solo oggi è previsto un giorno di pausa, per ripartire dall’8 Dicembre al 12 Dicembre con la chiusura degli accordi che andranno a definire l’azione climatica dei prossimi anni. Questa sarà la fase decisiva, quella in cui vedremo se le dichiarazioni pronunciate si trasformeranno in impegni concreti.