In un contesto internazionale caratterizzato dalla globalizzazione dei processi produttivi, assistiamo ad una crescente complessità delle catene di fornitura. Le aziende si approvvigionano di materie prime e competenze specializzate in ogni angolo del Mondo, ricercando le condizioni di fornitura più convenienti. L’obiettivo è massimizzare l’efficienza economica, senza intaccare la qualità della produzione.
Tuttavia, i fenomeni di delocalizzazione e atomizzazione delle filiere produttive, portano con sé numerosi rischi. Eventi tragici quali il crollo del Rana Plaza, avvenuto a Dhaka (Bangladesh) nel 2013, in cui hanno perso la vita più di 1.100 persone, spingono le aziende ad interrogarsi sul livello di garanzia che sono in grado di offrire rispetto a ciò che avviene lungo la propria catena di approvvigionamento.
Crescono quindi le esigenze informative di azionisti e investitori, circa gli impatti sociali e ambientali generati da un’impresa nell’ambito della sua value chain. Banche, fondi di investimento e compagnie assicurative applicano gli indicatori ESG alla catena di fornitura di un’azienda per appurarne la solidità e resilienza. Oggi, valutare un’iniziativa imprenditoriale significa anche analizzare la sostenibilità della sua filiera. Ciò spinge le imprese ad intraprendere attività di monitoraggio, più o meno sistematiche, sui propri fornitori e sub-fornitori, funzionali all’attivazione di eventuali rapporti commerciali. Si affermano numerosi programmi di controllo, ispezione e audit, in grado di investigare il livello di conformità sociale e ambientale della supply-chain di un’organizzazione (SMETA, BSCI, WRAP, URSA, PSCI e molti altri).
Non solo il mondo privato, ma anche quello pubblico si dimostra sempre più attento a responsabilità sociale e sostenibilità ambientale degli approvvigionamenti. Si affermano nel settore pubblico modelli virtuosi di responsible sourcing e green procurement, come ad esempio – in Italia – i CAM (Criteri Ambientali Minimi), requisiti applicati agli acquisti della pubblica amministrazione per garantire una maggiore sostenibilità dei consumi.
Inoltre, è sempre più evidente la sensibilità di utenti e consumatori finali rispetto alle modalità di realizzazione di un prodotto o un servizio, al punto da orientare le loro scelte di acquisto, sulla base di parametri sociali e ambientali.
In tale contesto, emerge il concetto di supply-chain due diligence – spesso nota come human rights due diligence – un’attività di investigazione e approfondimento, volta a raccogliere dati e informazioni sulla catena di fornitura di un’azienda, al fine di valutarne le prestazioni, a fronte di specifici indicatori.
La due diligence non è da intendersi come una sola attività di monitoraggio, ma bensì come una strategia organica, che offre strumenti funzionali alla valutazione e alla gestione dei rischi, orientati alla tutela legale di un’impresa. Se adottata in maniera sistematica, la “dovuta diligenza” genera un valore condiviso, favorendo l’adozione di pratiche commerciali orientate a un’etica della responsabilità, a vantaggio di tutte le parti coinvolte. Un modello di due diligence correttamente impostato, promuove il miglioramento degli standard sociali, e ambientali, determinando impatti significativi, specialmente per quelle aziende le cui filiere si sviluppano in contesti economici emergenti e in transizione.
Sino ad oggi le forme di due diligence più diffuse hanno garantito una primaria attenzione agli aspetti sociali, in particolare al tema dei diritti umani, da qui la diffusione del concetto di human rights due diligence.
Tuttavia, sono ormai diffusi e consolidati dei percorsi integrati, che includono nel perimetro di analisi anche i temi ambientali. Questo avviene anche in relazione all’affermazione di nuovi vincoli normativi, sul dovere di sorveglianza delle supply-chain.
Il 1 Giugno 2023, il Parlamento Europeo ha adottato la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), un ulteriore pilastro fondante della strategia di sviluppo sostenibile dell’Unione Europea. La nuova Direttiva impone alle aziende di grandi dimensioni l’obbligo di condurre una due diligence su diritti umani e ambiente all’interno della propria filiera. L’obiettivo, è quello di valutare e a rimediare ad eventuali impatti negativi generati dalle proprie attività. La Direttiva ambisce a favorire il rispetto dei principi di sostenibilità delle imprese definiti nell’ambito delle Linee Guida OCSE (“Due diligence guidance for responsible business conduct”) al fine di promuovere l’affermazione di modelli imprenditoriali più responsabili.
Human Rights & Environmental Due Diligence con NUVA
NUVA supporta le imprese nell’implementazione di strategie di gestione degli impatti sociali e ambientali ascrivibili alle loro catene di fornitura, per garantire una corretta gestione dei rischi, e delle pratiche di approvvigionamento che siano in linea con i principi di sviluppo sostenibile.
L’approccio di NUVA si articola secondo le seguenti fasi:
- Formazione delle funzioni che interagiscono maggiormente con la filiera (procurement, operation management) al fine di incrementare la consapevolezza rispetto all’importanza di una supply chain coerente con i principi di sostenibilità.
- Mappatura e analisi dei rischi presenti nella catena di fornitura, attraverso un Supply Chain Sustainability Assessment, che considera la severità e la probabilità di occorrenza di rischi sociali e ambientali, a seconda di fattori quali la categoria merceologica, la localizzazione geografica e le caratteristiche della forza lavoro del fornitore, traducendo gli effetti in termini di impatti attuali e potenziali.
- Analisi di contesto e regolamentari, per approfondire criticità emergenti in specifici ambiti industriali e territoriali, nonché le conseguenze derivanti dall’entrata in vigore di nuove disposizioni normative, in termini di labour e environmental law.
- Definizione delle strategie di mitigazione dei rischi sociali e ambientali, con stima dei relativi costi e analisi degli impatti correlati in termini di business. La mitigazione dei rischi di sostenibilità presenti in una filiera consta di numerose misure, dall’elaborazione di politiche di responsible sourcing, e procedure di riferimento, sino ad attività di ingaggio diretto dei fornitori, tramite processi strutturati di stakeholder engagement.
- Gestione di meccanismi di denuncia riservati e non ritrosivi, attraverso un’apposita piattaforma, in grado di tutelare anonimato e confidenzialità del reclamante.
- Monitoraggio dell’efficace applicazione delle politiche di sostenibilità lungo la filiera, per mezzo di audit in campo e documentali.
- Calcolo delle emissioni di Co2 relative alla filiera (GHG Emission – Scope 3).
Quali sono le aziende a cui si applica la Corporate Sustainability Due Diligence Directive?
La Direttiva in materia di due diligence diritti umani e ambientale sulle catene di fornitura si applicherà a:
- Aziende europee con più di 250 dipendenti e un fatturato pari o superiore a 40 milioni di euro, che operano in uno o più settori ad alto impatto (estrattivo, abbigliamento e calzature, agricoltura)
- Aziende europee con più di 500 dipendenti ed un fatturato superiore ai 150 milioni di euro
- Aziende non europee, operanti in UE, con un fatturato superiore ai 150 milioni di euro, di cui almeno 40 milioni generati nel perimetro comunitario.
Quali sono gli obblighi per le aziende soggette alla Corporate Sustainability Due Diligence Directive?
Le aziende interessate dovranno:
- Integrare la due diligence nelle loro policy aziendali;
- Individuare gli effetti negativi reali o potenziali sui diritti umani e sull’ambiente;
- Prevenire o attenuare gli effetti potenziali;
- Porre fine o ridurre al minimo gli effetti reali;
- Istituire e mantenere una procedura di denuncia;
- Monitorare l’efficacia delle policy e delle misure di due diligence;
- Rendere conto pubblicamente della due diligence effettuata