I negoziati per il clima
Al “Vertice della Terra” ossia la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro nel 1992, si deve l’impulso politico sul tema della tutela ambientale a livello internazionale. Durante questo vertice venne creata la convenzione quadro sui cambiamenti climatici (UNFCCC), il trattato ambientale internazionale che contiene norme giuridicamente vincolanti tra i rappresentanti di 178 Paesi del mondo, per adottare misure volte a contrastare i cambiamenti climatici. Con UNFCCC si riconosce l’esistenza di criticità inerenti al cambiamento climatico, e ci si pone l’obiettivo principale di stabilizzare le concentrazioni di GHG nell’atmosfera e la limitazione delle interferenze antropiche che potrebbero peggiorare le condizioni del Pianeta. L’evoluzione dei negoziati internazionali e i progressi in materia di cambiamento climatico si sono trasformati nelle Conferenze delle Parti (COP), nate con l’istituzione dell’UNFCCC e che si tengono fin dalla sua entrata in vigore nel 1994.
Le COP sono infatti i vertici annuali che riuniscono i leader mondiali dei 197 Stati firmatari della Convenzione guidati dall’ONU, il cui obiettivo è sviluppare impegni globali per contenere e contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici.
Dopo l’impulso dato dalla Conferenza di Rio, nella storia dei negoziati si evidenziano tappe fondamentali che influenzano i negoziati di oggi:
COP 3 – Protocollo di Kyoto: adottato nel 1997 ed entrato in vigore nel 2005, rappresenta l’applicazione pratica e vincolante del UNFCCC. Il primo trattato internazionale che propone ai Paesi di impegnarsi ad adottare misure per contrastare il riscaldamento globale, che aveva già raggiunto livelli molto elevati, con l’obiettivo complessivo di ridurre del 5,2% rispetto al 1990 per il periodo 2008-2012 le emissioni di gas altamente inquinanti che generano un effetto serra (anidride carbonica, gas metano, protossido di azoto, idrofluorocarburi, perfluorocarburi ed esafluoro carburi di zolfo), che si producono principalmente con la combustione di combustibili fossili ed attraverso processi industriali su larga scala. Il protocollo di Kyoto prevede che i paesi debbano raggiungere i propri obiettivi di riduzione principalmente attraverso misure nazionali allo stesso modo introduce la possibilità di ridurre le emissioni attraverso dei meccanismi “flessibili” basati sul mercato, tra cui l’Emission Trading Internazionale (ET). Questo meccanismo consente lo scambio di crediti di emissione (o di carbonio) tra Paesi industrializzati e ad economia in transizione; un paese che abbia conseguito una diminuzione delle proprie emissioni di gas serra superiore al proprio obiettivo può così cedere tali “crediti” a un paese che, al contrario, non sia stato in grado di rispettare i propri impegni di riduzione delle emissioni di gas-serra.
COP 21 – Accordo di Parigi: uno dei momenti più importanti nella storia delle COP, che ha sancito un contratto di diritto internazionale nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), e che si pone l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5 °C e nettamente al di sotto di 2 °C rispetto al livello preindustriale del 1850. Inoltre frutto di tale accordo fu la nascita dell’Agenda 2030 e dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che fungono da guida trasversale ed olistica per la creazione di una società più sostenibile ed equa per tutti. All’interno dell’Accordo di Parigi, si definiscono importanti aspetti in merito alla mitigazione e riduzione delle emissioni:
- Articolo 4 ciascun Paese, comunica e mantiene i Contributi Determinati a livello Nazionale (NDC), ossia le misure nazionali di mitigazione, che intende progressivamente conseguire. Da comunicare ogni 5 anni alle Nazioni Unite;
- Articolo 6 prevede la trasformazione dei meccanismi flessibili istituiti dal Protocollo di Kyoto verso nuove modalità di crediti di carbonio tra i Paesi. In particolare tale articolo si integra con l’andamento degli NDC previsti dall’articolo 4: se uno Paese non raggiunge gli obiettivi di riduzione prefissati, con l’Articolo 6 possibile “acquistare” la differenza mancante delle riduzioni di emissioni attraverso l’uso di “risultati di mitigazione” ( o crediti) internazionali generati in un altro Paese (ITMO – Internationally Transferred Mitigation Outcomes).
La revisione, determinazione e discussione di questi due meccanismi resta un aspetto centrale anche della COP 28 per una mancanza di efficacia delle misure adottate e di meccanismi specifici di monitoraggio e rendicontazione delle attività relative alle emissioni.
COP 26: il vertice mondiale del 2021 ha portato all’approvazione, da parte dei 197 Paesi partecipanti, del “Patto di Glasgow” che ha dato impulso alla lotta al cambiamento climatico ponendo le basi per il suo finanziamento. Tale accordo impegna i governi sull’obiettivo della decarbonizzazione al 2030, prevedendo il taglio del 45% delle emissioni di CO2 rispetto al 2010, con il proposito di arrivare a zero emissioni nette intorno alla metà del secolo. Nonostante gli sforzi durante le negoziazioni per raggiungere un accordo capace di eliminare l’uso del carbone e dei combustibili fossili, si è raggiunto un mero “phase out” ossia una riduzione graduale dell’utilizzo di fonti fossili. Questo è certamente stato uno dei punti più dibattuti a COP 26 che ha sollevato diverse polemiche tra l’opinione pubblica ed i governi. Tuttavia, il Patto sul clima di Glasgow rappresenta un passo avanti rispetto al precedente accordo del 2015, poiché individua tre punti chiave che devono ancora essere raggiunti:
- Un sistema di scambio di emissioni tra Paesi, in base al quale i Paesi che producono meno compensano i Paesi che superano i limiti o richiedono sostegno per evitare di superare i limiti;
- I governi devono adottare un “formato di rendicontazione” per comunicare i propri progressi nella decarbonizzazione per attuare il principio di trasparenza;
- Il Paris Rulebook contenente le norme per l’attuazione dell’Accordo di Parigi.
COP 27: l’ultima COP, svoltasi in Egitto nel 2022, ha rilanciato il focus e l’ambizione sull’importanza di mantenere l’obiettivo di 1,5°C accompagnata da una riduzione delle emissioni del 43% al 2030 rispetto al 2019. Con gli impegni di decarbonizzazione attuali tuttavia il taglio di emissioni sarebbe solo dello 0,3% al 2030 rispetto al 2019.
La COP 27 è stata caratterizzata dall’incapacità di raggiungere accordi efficaci ed effettivi sulla mitigazione del cambiamento climatico. Il vero, e forse unico, risultato raggiunto è stato in merito alla creazione del fondo per le perdite e i danni, il cosiddetto meccanismo Loss and Damage, che riconosce per la prima volta nella storia dei negoziati un principio di giustizia climatica, secondo cui i Paesi più inquinanti e quindi responsabili storicamente delle emissioni di co2 dovranno supportare economicamente i Paesi più vulnerabili e colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici. Il raggiungimento di tale accordo segna un nuova direzione ed una spinta da parte del Sud Globale nel riconoscimento della responsabilità dei diversi Paesi, allo stesso tempo lascia aperte molti temi come la definizione dei meccanismi di funzionamento del fondo, la definizione dei Paesi più industrializzati e la riconducibilità degli eventi estremi al cambiamento climatico.
La rotta verso il collasso climatico: lontani dall’obiettivo di 1.5° gradi
L’Accordo di Parigi ha segnato un obiettivo fondamentale per la salvaguardia della nostra vita e del Pianeta: mantenere la temperatura media globale entro + 1.5° rispetto ai livelli pre-industriali per evitare conseguenze climatiche estreme. Da allora i negoziati hanno spinto con accordi sempre più ambiziosi verso una presa di coscienza politica del problema per agire concretamente.
Secondo le Nazioni Unite, tenendo conto dei piani di riduzione delle emissioni di anidride carbonica dei vari Paesi, il pianeta è sulla strada di un riscaldamento disastroso tra i 2.5° e i 2.9° entro il 2100. ll Segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, lo scorso 6 settembre ha dichiarato che il clima sta collassando, dopo che l’osservatorio europeo Copernicus ha indicato il 2023 come l’anno più caldo della storia: “Il nostro pianeta ha appena sopportato una stagione bollente: l’estate più calda mai registrata. Il collasso climatico è iniziato“.
Le azioni messe in atto fino ad oggi non sono infatti sufficienti per invertire la rotta delle conseguenze climatiche e del riscaldamento globale: sulla base delle politiche esistenti e degli sforzi di riduzione delle emissioni, il riscaldamento globale raggiungerà i 3°.
Nonostante le prospettive auspicate dalla comunità scientifica, concorde nel collegare direttamente ed indirettamente gli effetti dei cambiamenti climatici alle attività umane, il mondo continua a produrre a livelli record gas serra nell’atmosfera, con un aumento delle emissioni dell’1,2% dal 2021 al 2022, secondo il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, aggiungendo che l’aumento è stato in gran parte guidato dalla combustione di combustibili fossili e dai processi industriali.
Le premesse per COP 28 di Dubai
Nello scenario attuale di emissioni di CO2 senza precedenti, di conflitti e guerra, i negoziati per il clima di COP 28, che si terranno dal 30 novembre al 12 dicembre a Dubai, segnano un importante momento per riunire leader mondiali ed esperti nel cercare di trovare soluzioni sempre più concrete ai cambiamenti climatici.
COP 28 propone un’agenda ambiziosa su quattro asset principali:
- Loss and Damage: operatività del fondo per la perdita e danni, soprattutto per Paesi come America Latina, Africa e Asia. Cop 27 ha segnato la creazione del fondo ma è necessario individuare le modalità di implementazione e di funzionamento dello stesso durante questi negoziati;
- Global Stocktake (GST): il primo bilancio mondiale, che avverrà per la prima volta nel 2024, come analisi collettiva dell’andamento in termini di implementazione dell’accordo di Parigi;
- Transizione energetica e riduzione delle emissioni: uno dei punti focali di questi negoziati che mirano alla riduzione del 45% delle emissioni entro il 2030 rispetto al 2020, un anno che ha segnato un cambiamento cruciale nel nostro modo di vivere, consumare e muoverci. Secondo l’IEA, l’Agenzia Internazionale dell’Energia, a causa della pandemia da Covid-19, le emissioni mondiali di CO2 nel 2020 sono diminuite del 5,8% rispetto al 2019, un obiettivo che dovremmo porci per limitare la temperatura media globale entro 1.5°. Un cambio significativo che dovrebbe tener conto anche degli aspetti sociali della transizione quali la parità di genere, le disuguaglianze sociali e la tutela dei diritti umani;
- Finanza sostenibile: il sistema finanziario internazionale necessita di una revisione ormai da anni, in questa fase per rispondere alle conseguenze dei cambiamenti climatici sarà necessario sbloccare maggiori investimenti da dedicare alla transizione sostenibile. Inoltre i Paesi industrializzati dovranno far fronte agli impegni presi durante l’Accordo di Parigi e stanziare 100 miliardi di dollari di finanziamenti per il clima.
La complessità delle scelte da prendere è acuita dal contesto climatico e geopolitico, che si divide tra le richieste della società civile per azioni concrete e finanziamenti per il clima e gli interessi economici e la pressione delle lobby del settore privato che influenzano i governi. Le prospettive, almeno sulla carta, sembrano particolarmente ambiziose anche grazie ad un recente annuncio da parte di Stati Uniti e Cina sull’impegno verso la transizione energetica, con l’obiettivo di triplicare la capacità delle energie rinnovabili e tagliare le emissioni del settore energetico entro il 2030. La transizione energetica sarà infatti al centro del dibattito mondiale, visti anche gli interessi del paese ospitante nell’investire e nel fornire innovazione ad altri stati per accelerare questo processo. Allo stesso tempo la COP 28 si svolgerà nel 7° più grande produttore di petrolio al mondo. Proprio per questo i temi più critici saranno quelli che toccano le responsabilità storiche per le emissioni, incluso il fondo su Perdite e Danni.
I negoziati sul clima sono un importante esercizio di multilateralismo e dialogo tra Stati che permettono un’ampia discussione sull’azione climatica mondiale a tutti i livelli – ambientale, economico, sociale – ma che in definitiva dipendono dalla volontà politica dei singoli governi di assumere impegni rigorosi ed ambiziosi per promuovere la just transition.
COP 28 rappresenta un crocevia per definire la direzione della diplomazia internazionale per i prossimi anni, consapevoli che il tempo per invertire la rotta del cambiamento climatico è poco.
Dal 30 novembre potrete seguirci sul nostro canale LinkedIn per aggiornamenti giornalieri sui negoziati per il clima con la nostra delegata Roberta Bonacossa.